Chiaroveggenze con nebbia.

Tempo fa mi è capitato di imbattermi in una mostra di Giorgio De Chirico, tra l’annoiato e l’interessato ho varcato la soglia del Museo. Mi sono invece imbattuto in mondo psichico alquanto affine allo stato d’animo del momento. Immagini surrealistiche inscritte in una traiettoria di significante assorbita nel significato che ognuno voleva o poteva dar loro. L’altra notte nel tentativo di vincere la battaglia contro la mia ombra ho reincontrato le sensazioni dell’epoca, son passati oramai 4 o 5 anni ma sembrano due vite fa, ed in particolare mi son venute in aiuto le muse inquietanti. In aiuto per modo dire, perché per sconfiggere la mia ombra anzi per cercare di neutralizzarla e di sublimare la diatriba in una sintesi di certo più completa, mi son fatto trasportare da emozioni quasi ottocentesche ritornate a galla dopo anni di oblio. Il senso ultimo di una natura umana destinata a ripercorrere le stesse strade ha permeato la ricerca della sublimazione ma, allo stesso tempo, ha allontanato l’illusione di una certa normalità inscritta sulle tavole dell’abitudine ricostituita. Sono stato quindi costretto a riprendere in mano le redini del carro condotto dai due cavalli (rubo da Platone) nella convinzione che soltanto un nuovo equilibrio dinamico possa ritrasportare me e la mia ombra in luoghi meno malsani. Intanto le muse inquietanti restano al loro posto e sono pronte a venirmi in aiuto sebbene credo abbiano già  imposto ai prossimi eventi una sorta di certificato di “ultimità”. Per chi ha fatto dello spreco e della dissipazione di esseri una sua ragion, e cagion, d’essere è semplice cogliere certi avvertimenti inconsci manifestatisi con evidenti intenti ammonitori. La ricostitutizione di una solidità ottocentesca è inevitabile e deve essere collocata nello spazio – tempo propri di un  futuro teso alla ricostruzione di quella via Appia che sola potrà ricondurre la costituzione delle immagini alla loro realizzazioni immaginate.

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