Devo per forza cambiare la CPU!

Minchia ma sto caos costruito ad arte cerca incessantemente di condurci dritti dritti alla depersonalizzazione. E passo dopo passo ci sta riuscendo (non nel senso che è già uscito una volta e adesso con la scusa di aver dimenticato i lacci delle scarpe ri-esce). Cioè come dire i presupposti, cioè posti prima….si ma prima quando?, dai quali parto sono:

  1. L’uomo, vabbè facciamo anche la Donna (con la maiuscola perchè c’è la legge sulle pari opportunità!), son sempre quelli da mille e mille anni cioè un misto di carne e sangue e anima.
  2. I precitati sono al contempo portatori sani di caratteri opposti bontà e cattiveria, di animus e anima, luce ed ombra, volontà e accidia….aquila e serpente
  3. I suddetti sono anche fortemente impelagati nelle sabbie mobili della loro carnalità irrazionale ed irragionevole (o meglio che segue la sua propria ragione….che può essere anche di morte)

Nelle nostre civiltà occidentali contemporanee siamo da qualche tempo alle prese con nuovi fenomeni emergenti che volontariamente o involontariamente stanno decidendo il carattere della imminente catastrofe socio-politica. In questo caso intendo per catastrofe il cambiamento di stato di un sistema complesso, sebbene le menti dei catastrofici  siano alquanto ridotti a sistemi unicellulari primordiali.

Però tutte le volte che accendo il cervello mi domando e dico:

  • ma siamo gli stessi che hanno prodotto rinascimento e controriforma?
  • ma siamo gli stessi che hanno scritto le dichiarazioni dei diritti dell’uomo (vabbene e anche della Donna) e poi abbiamo tollerato le prigioni di Guantanamo e la guerra fatta con i droni?
  • ma siamo gli stessi che hanno ascoltato musica immortale e musicisti illuminati e ora vogliono inquinarsi l’anima con veleno omeopatico in chiave di offesa musicale?
  • ma siamo gli stessi che hanno dato vita ai più alti ideali di convivenza, fino alla commorienza, e oggi neghiamo l’esistenza del diritto alla vita?
  • ma siamo gli stessi che pretendono il diritto di essere rispettati in quanto persone, di essere amati in quanto compagni/e, di essere riconosciuti in quanto individui, di essere premiati perchè stacanovisti, di essere compianti perchè: “e quando lo trova un altro/a come me”, di essere ascoltati perchè anche noi abbiamo idee nostre….ma se il vento cambia verso buttiamo via la vecchia bussola credendo sia cambiato il magnetismo cosmico?

E quando la CPU, dopo i primi 3 decimi di secondo di attività, comincia a raggiungere temperature elevate il sistema suggerisce di attivare la modalità risparmio energetico perchè l’alternativa sarebbe un arresto del sistema…..e non sempre ne è possibile il ripristino.

The distance create indifference…la distanza crea indifferenza

La frase del titolo è tratta dal film documentario “Drone”, un viaggio lungo il fondo del fiume guerra e menzogna e stupidità e miseria e ….umano troppo umano.

Nuovi paradigmi interpretano il presente e vecchi abiti lo informano. Spesso la realtà si manifesta come un evento imprevisto e indesiderato. Si ma agli occhi di chi? Quali orecchie non vogliono ascoltare il rumore di fondo? E come mai non ciaccorgiamo della realtà se non quando si presenta come un un suono afono e stonato?vlcsnap-2015-11-25-22h17m19s715

La foto si riferisce ad uno dei tanti campi di selezione delle future leve che andranno a ingrossare le fila dei nuovi soldati virtuali. La distanza, appunto, crea indifferenza. La scoperta, il perfezionamento e l’utilizzo massiccio dei droni a scopi militari sta cambiando letteralmente le regole d’ingaggio bellico le quali saranno sempre più fondate sull’assunto del distruggi tutto quello che si muove purchè io non mi muova. Gli effetti saranno azzardi morali sempre più costosi per chi non potrà permetterseli, nuova violenza che genererà altra violenza e altre prevaricazione che grideranno vendetta al cospetto dei vari dei che popolano gli incubi umani. E’ tutto scritto nella legge dell’eterno ritorno. E dispiace vedere le ombre assumere sostanza e sostituire corpi e menti forgiate nel crogiolo di quella che per qualche anno stata la speranza di un mondo nuovo costruito sulle tombe dei  100 milioni di morti delle due guerre mondiali. La distanza crea indifferenza e porta scompiglio nelle menti di uomini che nel fondo sono quelli dell’ottocento ma devono fare i conti con gli stimoli del 2015 senza sapere bene cosa farne e come sfruttarli. La distanza è pericolosa soprattutto se è distanza tra il Se e l’Io cosciente. Un Io alla ricerca ossessiva di affermazione ed autoesaltazione suicida che troverà un argine in un luogo oscuro e tetro. Un cantiere portatore di cemento e stupidità!

Ridatemi le ali!

Abbiamo bisogno di un nuovo Charles de Gaulle

E vi spiego il perchè:

  1. L’europa ed ogni stato europeo ha bisogno di ricostruirsi partendo dai propri interessi nazionali succubi del potere, oramai vetusto, che viene dall’altra parte dell’atlantico e che non coincide più con gli interessi vitali dell’Unione Europea
  2. Deve poi costituirsi con nuova Unione Europea come gli U.S.A. con competenze federali limitate alla difesa, alla politica monetaria e forse ai vigili del fuoco
  3. L’Europa ha bisogno di ritrovare la sua vera natura di culla della cultura e dovrebbe eleggere Atene come capitale e Roma come tutrice della sua forza (ma dopo aver cacciato gli italiani e averli sostituiti con i tedeschi 🙂 )
  4. Se proprio dobbiamo armare quelli che poi vengono a farci la festa dovrebbe essere per i nostri interessi e non per quelli altrui
  5. Abbiamo bisogno di un esercito Europeo e non di basi americane sul territorio europeo
  6. Bisogna integrare Israele nel territorio europeo e far si che Israele non si senta minacciata, i palestinesi non siano trucidati e che gli estremisti in “terra santa” siano mandati a Dubai a costruire isole nel mare
  7. Il ventre molle dell’europa deve essere fuori dall’Unione Europea fino a quando non la smetterà di essere intimamente nazista
  8. Putin non sia più considerato un esempio
  9. Quelli cosiddetti riformisti e di sinistra (sic!) vadano a raggiungere gli estremisti di cui sopra
  10. Il popolo europeo sia educato nel solco della virilità emotiva (non sessuale), rispetto altrui e soprattutto non sia più vittima della dissociazione storico culturale.

Questioni d’istinto.

E’ istinto! Quello vitale che non riesce ad assopirsi. L’uomo cerca da millenni la ricetta giusta per sublimare gli opposti acquietare la brama della volontà di potenza. Nelle versioni più riuscite la ricetta conduce all’abbandono della vita ed al rifugio nel nichilismo schopenauriano. In quelle più problematiche, il superuomo è finito dritto dritto al manicomio. Le religioni monoteiste non sono neanche a 100 chilometri dalla meta con tutto quel livore in forma di amore per il prossimo. Al giorno d’oggi c’è una sorta di rassegnazione sorda e adirata di fronte a quella che può sembrare uno stato di dissociazione permanente tra la rappresentazione della realtà propinata dai media, i valori guida strillati ad ogni piè sospinto dai buonisti e l’interazione sociale quotidiana che invece si colora di sfumature in completo disaccordo con quell’alone di candore in calze di nylon. Perchè rassegnazione sorda adirata? Perchè incapace oramai di ascoltare il dolce rumore delle onde che si infrangono sull’arenile alle 6 del mattino. Inaridita dall’incapacità di sentire gli odori di un mercato rionale. Impaurita dal continuo stillicidio di veleno iniettato a dosi omeopatiche con l’obiettivo di creare nevrosi e spegnere l’entusiasmo. Consapevole, nei giovani ma ancora di più negli adulti, che la vita che vale la pena di essere vissuta è quella con dentro un presente gustoso che mira al futuro consapevole di poter ridurre lo spazio tra gli opposti. Voler quindi farsi carico dell’uomo in quanto tale e non nella versione ad una dimensione (quella economica) che oramai è imperante e tradisce se stesso. Adirata verso se stessi e quindi verso il mondo esterno, reo di impedire la realizzazione di una futuribile che però non è più pensabile perchè cancellato nell’istante stesso in cui si propone alla mente. Il senso di inadeguatezza e di incompletezza spesso viene nascosto inconsciamente dal desidero indotto dell’ego ipertrofico che cerca così di rispondere alle sollecitazioni dell’inconscio che invece riporta tutto allo stato di verità una negata. L’istinto che riconosce la differenza tra il il volere ed il potere è lo stesso che cerca con ogni mezzo di ridurre lo iato tra la parte conscia e positiva e quelle inconscia e negativa o neutrale. Quando il percorso viene ostacolato da elementi esogeni incontrollabili e deleterei (oggi rappresentato dell’economicizzazione dell’intera esistenza) l’istinto di ribellione è fecondato, l’inquietudine non trova argini e spesso si finisce per ritrovarsi a vedersi dal di fuori come se l’individuo idealizzato non riconoscesse l’individuo realizzato.

Vabbè e quindi?

E quando si fa strada una sensazione di vuoto che vuole essere riempito, bene, allora c’è da capire o da spaventarsi. O ambedue le cose insieme.

Il capire perchè non si riesce a stare fermi nel metro quadrato di vita che si è creduto di voler vivere ma invece no. I confini sono mobili, liquefatti, inafferrabili e quel metro quadro diventa il mondo intero e l’intera fauna umana. Fiondati verso un non luogo del pensiero e delle emozioni ci si sposta senza attrito in uno spazio ipotetico dove la reificazione del senso dell’agire immediato deve pagare il prezzo di una ripetizione senza fine di gesti consueti. Gesti che però consumano la componente tempo nella creazione ripetuta e iterativa di “cose” nate già stanche. E quindi succede che traiettorie di vita oggettivamente inutili a se stesse acquisiscano  la parvenza d’importanza e di stabilità di una piramide egiziana(il matrimonio, il “non ci lasceremo mai, il posto fisso, la casa di proprietà, Dio i santi e la madonna, il partito comunista e quello democristiano, il pugno alzato ed il braccio teso, le costituzioni) . Eppure queste illusioni sono per forza di cosa necessarie onde evitare che ognuno di noi vada a far parte di quella squadra di folli e pazzi patentati messi sotto le cure “amorevoli” della psichiatria ufficiale, la quale è ben lieta di profondere abbracci “compassionevoli” e immobilizzanti. E quindi non resta che spaventarsi.

Ecco a questo punto entra in gioco la paura. L’ippocampo (che non è parente dell’ippopotamo!) si eccita e la sopravvivenza è assicurata. La corteccia celebrale vien messa a tacere e lo “stomaco” riprende possesso del proscenio. Si diventa tutti “volontà di potenza” e “carne cruda a cena”(e magari qualche migrante, profugo, immigrato, musulmano…galleggiante al tg1)

Dove s’incontrano, si sublimano e ci guidano questi due estremi, in quale luogo fantastico e quasi metafisico resta ancora un mistero sul quale i meno s’interrogano da molto tempo e del quale i più non sospettano l’esistenza ma l’avvertono inconsciamente( e qui si insinua l’arte seduttrice di una istanza luciferina).

Per il momento la partita è ancora sospesa ma ci sono buone probabilità che…lo resti per sempre.

Realtà sublime!

La realtà dei fatti non esiste perché non esiste la realtà in sé. Il soggetto osservante è esso stesso oggetto della realtà osservata. Presupponendo corretto il principio di indeterminazione di Heisemberg, la cosa in sé se esiste non è percepibile dall’osservatore al di fuori della lente deformante della propria esperienza sensibile. Nonostante io sia convinto di ciò, resto basito, o meglio resta basito il mio istinto noetico, quando il mio sguardo si posa…

Sulla pervicacia con la quale cerchiamo di mostrarci a noi stessi come vorremmo che gli altri ci osservino.

Sulla facilità con la quale i “signori del vapore” sono riusciti a costruire un esercito di automi monadizzanti e quindi a quasi cancellare il senso sociale dell’agire individuale.

Sulle modalità con le quali le elite economico-finanziarie globalizzate siano riuscite a convincere “il fornaio a gettare via il suo pane fresco mentre ringrazia Dio per averlo fatto morir di fame”.

Sulla perdita dell’istinto di conservazione dell’uomo come specie vivente in luogo di una “nuova ragione del mondo” che coltiva gli istinti autodistruttivi come mai prima d’oggi.

Sulla preveggenza dei cosiddetti pazzi che sono il volto visibile della caduta, della “chute”.

Sugli istinti di protezione del modello di malafede e ipocrisia che schernisce i difensori dell’aria tersa e frescha. La pozzanghera che regna sul lago alpino.

La natura della viltà è propria di generazioni rammollite dal benessere e dall’ assenza di caos creativo!

Trivellare l’aria.

Tutto è stato detto ma non tutto è stato letto, quindi restano sempre delle falle nella carena della nave conoscenza. L’iperspecializzazione della con-scienza rende oramai impossibile detenere in un sol pugno la radice del Sapere. Restano invariati i termini delle discussioni filosofiche che da molti secoli a questa parte innervano il corpo della signora volontà di potenza. Il soggetto senziente è ancora in grado di porsi come oggetto di analisi? L’abbandono Heiddegheriano è davvero l’approdo della speculazione filosofica a noi nota? Esiste realmente un “essere” metafisico e metastorico insondabile e per ciò stesso impensabile? Porsi fideisticamente nelle mani di una ontologia genealogicamente orientata verso l’idea dell’uomo misura delle cose del mondo, sarà davvero l’unico modo per sublimare il mai sopito terrore di una finitudine infinita, madre di tutti i nichilismi?

Abitare nel regno del non devi voler conoscere tutto perchè il tutto è inarrivabile? E se così è, allora forse il momento in cui ci rendiamo conto di dimenarci come anguille decapitate in un labirinto senza uscita, è quello in cui solamente ci identifichiamo con la terra immobile del momento infinitesimamente espanso.

E allora?

Si rompe uno specchio tenuto in piedi da forze misteriose o misteriche e ci restituisce l’immagine di come siamo realmente, individui molteplici tenuti insieme dalle incrinature delle stesse molteplicità. Quello che più conta sono i piani di sostegno delle diversità che ci compongono. Mai perfettamente allineati sul piano, la livella ci segnala il grado d’inclinazione delle diverse parti dello specchio. A volte addirittura schegge staccatesi dall’insieme tentano di rendersi autonome, quasi a voler condurci verso una ipercaratterizzazione univoca. Ma nulla sfugge all’insieme, le incrinature raggiungono il folle pezzo di vetro e ne conservano il legame al tutto. Sebbene ci si intende di tante cose, di poche in particolare si riesce a scorgere un microsenso. Per molti è sufficiente scrutare la superficie parziale restituente un immagine colorata e luminosa per sentirsi padroni di se e del mondo. Neanche sospettano che lo specchio che li porta alla realtà sia così tanto complesso, a volte ne hanno un vago senso (magari in sogno) ma ne riportano un significato da smorfia o enalotto. Altri ancora non vogliono vederlo, lo specchio. Ne intuiscono la presenza, la forza attrattiva, la difficile soluzione, il buio che avvolge il contorno appena visibile, il pesante fardello dell’interezza. Mille astuzie dell’intelligenza pratica si mettono in moto, con degli “alambicchi della ragione” che si inerpicano su sentieri illeggibili. Le schiere di maneggioni psichiatrici, psicologi, psicotutto ringrazierrano e con loro i promettenti normalizzatori. Magari poi c’è anche chi  coglie le sembianze dell’interezza frantumata, non scappa ma resta immobile attendendo che il tempo gli regali nuovi occhi, i frammenti si riappacifichino e tornino a percorrere le medesime strade, che almeno si riesca a ricomporre le armonie di un Kind of Blue. L’unica cosa certa è la sensazione di un’immobilità senza tempo e spazio. L’immagine deformata dalle distanza reciproche che cerca di ritornare allo status quo ante. Voglia del grembo che non ho mai smesso di anelare.

Scrivo a me stesso confondendo il tutto con egocentrismo vanesiamente internettiano!

Mi dimetto da me stesso quando vedo il fluire della corrente di eventi inaccettabili. Si ma inaccettabili per chi? Cioè cosa dovremmo accettare e cosa no? Ricevere uno schiaffo oggi per poterne dare uno domani oppure non accettare l’offesa ed essere sicuri di doverne prendere uno maggiore la prossima volta? Magari porgere l’altra guancia e già che ci sono anche le chiappe oppure sgattaiolare sotto l’uscio della porta come una blatta soddisfatta? Si ma “tiene famiglia”…e quindi? Qual’è il ribasso dell’asticella accettabile senza correre il rischio di spezzarsi la schiena nel tentativo di superare la prova del “limbo” al contrario? E se fossimo assuefatti al declivio delle aspettative materiali e ideali? Spettacolo da Grand Guignol che va in scena ogni giorno fuori e dentro la nostra testa, o almeno tra quelli che si immaginano persone e quindi rilevino lo scarto esistente tra l’essere persona e l’essere schiavo (o peggio servo schiocco) di una deriva etico-morale-materiale, direi quasi cosmica, che ci sovrasta. Non si tratta di essere pessimisti o meno, basta guardare le facce dei “ben riusciti”, dei “vincenti” e dei “padroni” per poter capire che anche loro, e perfino i loro cani, sentono il peso del marchingegno che ossessivamente e compulsivamente aziona il meccanismo del frullatore. E quindi fuggire in palloni di elio verso un inesistente esterno mondo credendo che domani sarà meglio e adesso è giusto che sia così? Il dubbio è forte, lo Stige dilaga ed il Devoto-Oli perde utilità e dovrà essere rimpiazzato dal solo “devoto”.

Il solo soggetto degno di considerazione è quindi il potente genealogicamente puro che non si mischia con la plebe e sorridente continua a scavare, armato di forza di volontà marmorea, verso mete abissali di perfezioni inenarrabili.

Il resto è plebe, mediocrità e democrazia…il resto è “l’uomo più brutto”.

 

La zappa sul cervello

Quando si ha un cervello al livello dei propri piedi, bisogna fare attenzione ai gradini della realtà. Muovere fiumi di pensieri è come camminare, capita di inciampare e di farsi male. A volte invece, quando si comprano scarpe con alluce sacrificato, succede che mentre si cammina ci si deve fermare, riposare e ripartire doloranti e il nostro cervello appiedato inciampa su se stesso nel tentativo di superare gli ostacoli creati dall’alluce dolorante. Darsi la zappa sui piedi è il modo di esprimere un giudizio sulle scarse capacità di definire il proprio interesse e determinarsi di conseguenza, ma si potrebbe anche dire darsi la zappa sul cervello il quale scende verso i plantari delle nostre scarpe per cercare di parlare con il proprio alluce rigonfio e spiegargli che non serve sbraitare a vanvera per far passare il dolore ma che invece è necessario comprare delle scarpe nuove, magari più large e più comode. A quel punto il cervello ritorna nella propria dimora, ma scopre che è stata abitata da un altro essere, molto più forte e deciso. Non gli resterà quindi che tornare ad essere il gomito che era sempre stato.

Darsi la zappa sul cervello, immagine ironica di una  Weltanschauung demoralizzante!