Attenti al treno!

 

Miliardi di bit informatici si svegliano ogni mattina per informare di se gli utenti della rete e già che ci sono per informarsi di noi pesci nella rete. Digitiamo, spiamo, vediamo, amplifichiamo, mistifichiamo, contattiamo, sgomitiamo, ci affacciamo…insomma facciamo quello per cui siamo stati programmati. La velocità aumenta, il senso di sazietà arriva prima, il livello di egocentrismo sale e l’effetto “tossicodipendente” si insinua anche nei cervelli dei salutisti più talebani, figurasi gli altri!

Stimoli stimoli stimoli, sembra essere questo il cibo offerto dai bit al nostro cervello bulimico ma spesso la digestione è pesante, a volte gli stimoli sono avariati, ci si ubriaca e si finisce per vomitare. Stiamo offendendo e affrontando la nostra storia, la parte più antica e primitiva del nostro cervello vuole vendicarsi quindi deve insegnarci che in fondo siamo sempre gli stessi primati di qualche millennio fa e che qualche miliardo di connessioni neuronali non sono sufficienti a farci diventare individui pieni e coscienti.

Succede allora che, seguendo un andamento circolare, si rischia di tornare allo stato iniziale cioè ad uno stato con zero stimoli. Quando la luce è troppo forte gli occhi si chiudono. Quando il volume è troppo elevato cerchiamo di proteggere le orecchie.

La dissociazione (da un cielo terso, dal profumo del mare, dal senso di equilibrio, dal gesto appassionato), è la strategia di difesa…ma è ancora un lasciarsi vivere senza volontà di esserci, senza la volontà di recedere dall’inutile inflazione egocentrica.

Ritorno al futuro

Non sarà un pezzo sulla coincidenza tra la l’omonimo film e quella odierna.

Si tratta piuttosto dell’innato moto, emotivo e allo stesso tempo razionale, a leggere  i fatti del mondo intero in una prospettiva unica nella quale tutto si tiene e nulla accade senza effetti per le altre realtà umane. In una visione olistica e teleologica, infatti, è necessario scorgere i collegamenti, o gli hub di collegamenti, di natura emergentista(cioè quelli che permettono il cambio di stato ai fenomeni sensibili come ad esempio dal gas al liquido, dalla rabbia alla gioia, dall’amore all’indifferenza, dal PCI al PD sic!). Propendo per la variante teleologica perchè è più utile ragionare in termini di finalità, e quindi di utilità e interesse, piuttosto che di causalità che invece da l’idea di ricostruzioni posticce. A meno che non si sia immersi in un presente assoluto mono-tono e mono-nota, non si sia ostinatamente stolti, non si voglia ignorare se stessi e non si sia del tutto avulsi dall’uso della capacità interpretativa, risulta alquanto difficile non notare un certo smottamento del piano umano dell’uomo. Questo risiede nella parte razionale e utilitarista delle nostre facoltà intellettive e si rivolge tanto alla sfera spirituale che a quella corporea.

Quanto a quella spirituale, l’optimum sarebbe la riconciliazioni degli opposti in un processo di individuazione cosciente. Questo richiedere dapprima il riconoscere la dualità assoluta del potenziale umano e successivamente la ricerca di un metodo di ricomposizione sublimante. Su questo piano siamo abbondantemente all’anno zero, anzi al -10 e questo perchè lo stato di dissociazione più pericolosa, che poi sarebbe quella fondamentalista, la fa da padrone nell’immaginario collettivo creando senso di inadeguatezza, tensione, paura, diffidenza, anomia e paura del futuro e ignoranza del passato in quasi tutti i normali cittadini( la tattica è semplice: io sono il buono, tu sei il cattivo, ti combatto ma non riesco mai a vincere perchè rinasci sempre più cattivo di prima….versione non religiosa Oppure: l’uomo è cattivo per natura, un giorno arriverà un salvatore ma nel frattempo devo pur fare le sue veci…versione religiosa). Restano forse esclusi da questo stato di indeterminatezza cronica i super padroni del vapore, i quali pretendono la risalita verso di loro del fluido vitale fatto di gocce di speranza concessa controvoglia a una piccola parte degli “occidentali” tra il ’45 e l’81. Poi il riflusso e ora la digestione. In questo stato di cose il mantra iperefficientista della produzione immateriale di sapere/potere si oppone strenuamente all’inefficienza naturale dell’uomo umano e ricerca quell’uomo cibernetico che si sta studianto in tutti i laboratori (da quelli cognitivisti a quelli farmaceutici sino ad arrivare alla robotica spinta). L’iperefficienza come nuova religione secolare decomunistizzata e parzialmente ricristianizzata.

Quanto alla sfera del corpo, questo grande saggio che non mente mai, si sta cercando di farne strame coltivando un falso mito estetico lontano anni luce dalla cultura del benessere equilibrato. Gli effetti dell’iperefficientismo arrivista, ma anche quelli del semplice disequilibrio distributivo si riverberano su comportamenti altamente autolesionisti in termini di qualità del presente e durata del futuro. Istanze naturali vengono represse sull’incudine del dio denaro che tutto  regola e vite senza senso vengono sprecate nella ricerca di modi sempre più esotici per fuggire dal proprio Se. Il corpo dicevo, annegato nell’estremo benessere o nella più oscura e obliterata memoria di se, diviene oggetto immobile sul quale incidere col fuoco la scritta “inutile”. Come tutte le cose importanti, ci accorgiamo del loro vero valore soltanto quando oramai è troppo tardi per rimediare e pur sapendolo insistiamo, come tanti piccoli lemming, nel voler colpire sempre più duro sull’incudine.

Una condizione siffatta sarà foriera di allontanamento ulteriore da noi stessi e dagli altri a noi vicini e non ce ne accorgeremo nemmeno, perchè saremo al tempo stesso oggetti e soggetti dell’agire quotidiano. Condensati così alcuni spunti di pensiero, forse un giorno verranno sviscerati e collegati a forma di uomo.

Vedo il mondo da un (o)blog!

Condensare il flusso di pensieri che passa nella mente di una persona mediamente interessata alle cose della vita è sempre cosa difficile. Ma per farlo bisogna prima di tutto vivere un’esistenza abbastanza equilibrata, il che significa avere il tempo ( o prendersi il tempo) per godere della bellezza di un pezzo musicale, per apprezzare la freschezza di un concetto vecchio di 2 mila anni, per desiderare ancora di essere una persona che vuole vivere la complessità del mondo e dei suoi abitanti. Mi spiace per coloro i quali, e sono tanti, il mondo si è ridotto ad una dimensione teleologicamente orientata verso un indefinito benessere materiale che in realtà prosciuga la fonte della linfa vitale che sola riesce a dare un minimo di significato ai giorni che si susseguono. Almeno così mi sembra da qui, un piano terra che guarda tutto dal basso in alto ma che riesce ancora a mettere a fuoco le forme anche distanti di chi oramai vola alto. Si tratta di scegliere tra l’etereo ed eterno futuro irraggiungibile  di un volere fine a se stesso e la dimensione, certamente più prosaica ma più vera, fisica e tangibile di un mondo sensuale sebbene a volte doloroso. Le fughe servono a irretire il senso del reale che accompagna ognuno di noi ed anche te che credi di essere immune dalle illusioni di un idealismo perdente. La realtà è rappresentazione, e questo è abbastanza chiaro, ma il film potrebbe anche terminare prima di scoprire chi è l’assassino e quindi è bene sentire il senso dell’urgenza di raggiungere un lido ove il processo d’individuazione di un soggetto abbia al suo interno anche la condivisione di un futuribile scevro da nevrosi.

Vabbè e quindi?

E quando si fa strada una sensazione di vuoto che vuole essere riempito, bene, allora c’è da capire o da spaventarsi. O ambedue le cose insieme.

Il capire perchè non si riesce a stare fermi nel metro quadrato di vita che si è creduto di voler vivere ma invece no. I confini sono mobili, liquefatti, inafferrabili e quel metro quadro diventa il mondo intero e l’intera fauna umana. Fiondati verso un non luogo del pensiero e delle emozioni ci si sposta senza attrito in uno spazio ipotetico dove la reificazione del senso dell’agire immediato deve pagare il prezzo di una ripetizione senza fine di gesti consueti. Gesti che però consumano la componente tempo nella creazione ripetuta e iterativa di “cose” nate già stanche. E quindi succede che traiettorie di vita oggettivamente inutili a se stesse acquisiscano  la parvenza d’importanza e di stabilità di una piramide egiziana(il matrimonio, il “non ci lasceremo mai, il posto fisso, la casa di proprietà, Dio i santi e la madonna, il partito comunista e quello democristiano, il pugno alzato ed il braccio teso, le costituzioni) . Eppure queste illusioni sono per forza di cosa necessarie onde evitare che ognuno di noi vada a far parte di quella squadra di folli e pazzi patentati messi sotto le cure “amorevoli” della psichiatria ufficiale, la quale è ben lieta di profondere abbracci “compassionevoli” e immobilizzanti. E quindi non resta che spaventarsi.

Ecco a questo punto entra in gioco la paura. L’ippocampo (che non è parente dell’ippopotamo!) si eccita e la sopravvivenza è assicurata. La corteccia celebrale vien messa a tacere e lo “stomaco” riprende possesso del proscenio. Si diventa tutti “volontà di potenza” e “carne cruda a cena”(e magari qualche migrante, profugo, immigrato, musulmano…galleggiante al tg1)

Dove s’incontrano, si sublimano e ci guidano questi due estremi, in quale luogo fantastico e quasi metafisico resta ancora un mistero sul quale i meno s’interrogano da molto tempo e del quale i più non sospettano l’esistenza ma l’avvertono inconsciamente( e qui si insinua l’arte seduttrice di una istanza luciferina).

Per il momento la partita è ancora sospesa ma ci sono buone probabilità che…lo resti per sempre.

Quasi fantasma?

verità

Lo stato di dissociazione da noi stessi crea squarci di ansia che a volte si possono trasformare in senso d’impotenza, quindi la necessità di ritrovate l’unicità della nostra persona ci induce spesso a decisioni che in prima facie sembrano essere controproducenti. Il principio di dispersione crea rivoli di emozioni, atteggiamenti, aspettative e desideri che sono necessari al processo di valutazione di ciò che è più vicino al nostro subconscio, il quale per il tramite dell’anima(maschile) e dell’animus (femminile) dovrebbe poi ricondurre alla persona unica che dovremmo essere. Almeno così sembrerebbe nelle psicoanalisi Junghiana, che forse è un po più in buona fede rispetto a quello freudiana. Quindi se ciò ha senso, i svariati rivoli attraversati in una quasi vita ci rende edotti di quelle esperienze che sole possono ricondurci all’univoco che dovremmo essere. Senso del nostro benessere e intuito noetico. Scena sgombra. Fantasmi ed errori dissolti.  E quando ci si ricorderà della “cura” sarà sempre troppo tardi perché il tempo che scorre è si quintessenza della sostanza che lenisce e dissolve dolori, ma è anche potente sbiancante di colori mantidei.

Tra il subconscio e noi ci sono i sogni. E sono recite di personaggi inventati o richiamati. Non riesco ancora ad addestrare i miei cani. Scodinzolando di felicità riportano sempre vecchie immagini di dee atee che dovrebbero essere da tempo nascoste in monumenti della romanità antica e anarchica. Con mille scuse diverse, il dover essere coerente a tutti i costi obbliga a fissare lo iato tra la volontà e l’azione. Lo spazio resta, la distanza non si colma, i sogni comunicano ma la razionalità è sorda. Resta la sensazione di una felicità oramai postuma. Onirica. Stanca. Concierto de Aranjuez perenne.

Quasi fantasma?

verità

Lo stato di dissociazione da noi stessi crea squarci di ansia che a volte si possono trasformare in senso d’impotenza, quindi la necessità di ritrovate l’unicità della nostra persona ci induce spesso a decisioni che in prima facie sembrano essere controproducenti. Il principio di dispersione crea rivoli di emozioni, atteggiamenti, aspettative e desideri che sono necessari al processo di valutazione di ciò che è più vicino al nostro subconscio, il quale per il tramite dell’anima(maschile) e dell’animus (femminile) dovrebbe poi ricondurre alla persona unica che dovremmo essere. Almeno così sembrerebbe nelle psicolanalisi Junghiana, che forse è un po più in buona fede rispetto a quello freudiana. Quindi se ciò ha senso, i svariati rivoli attraversati in una quasi vita ci rende edotti di quelle esperienze che sole possono ricondurci all’univoco che dovremmo essere. Senso del nostro benessere e intuito noetico. Scena sgombra. Fantasmi ed errori dissolti.  E quando ci si ricorderà della “cura” sarà sempre troppo tardi perché il tempo che scorre è si quintessenza della sostanza che lenisce e dissolve dolori, ma è anche potente sbiancante di colori mantidei.

Tra il subconscio e noi ci sono i sogni. E sono recite di personaggi inventati o richiamati. Non riesco ancora ad addestrare i miei cani. Scodinzolando di felicità riportano sempre vecchie immagini di dee atee che dovrebbero essere da tempo nascoste in monumenti della romanità antica e anarchica. Con mille scuse diverse, il dover essere coerente a tutti i costi obbliga a fissare lo iato tra la volontà e l’azione. Lo spazio resta, la distanza non si colma, i sogni comunicano ma la razionalità è sorda. Resta la sensazione di una felicità oramai postuma. Onirica. Stanca. Concierto de Aranjuez perenne.

Fagotto e ricordi

                                                                   folletto Tito-Part

Viaggiare con un sacco in spalla e dentro c’è tutta la vita vissuta fino ad oggi. Sacco pesante o leggero, dipende dai punti di vista, ma quello che c’è di buono non potrà che mischiarsi con tutto ciò che mai rifaremmo. Resta l’amaro in gola mentre si immagina ciò che potrebbe esserci e che invece non c’è, si tramuta addirittura in senso di squilibrio quando la fantasia del futuribile incontra il demone del “forse mai più”. Questo senso di impossibilità immobile che accompagna quotidiano vissuto con astigmatismo ipermetrope. Il futuro, oggi, è forse soltanto un sostantivo che non si fa scoprire. Non essere più disposti a scostarsi, voler vivere senza la necessità dell’accettazione sociale e scoprirsi diversi da ciò che si è. Stanchi di ciò che si vive e si impone. Il sacrificio di se non può che trovare un motivo in qualche elemento trascendente da se. Non si riuscirà mai sopportarlo per il semplice gusto di farlo o perchè la forza dell’abitudine ottunde il senso vero del tempo che viviamo. Ciò che si è dato per scontato lascia spazi densi e zavorra metallica nel fagotto. Ricordo di aver pensato “Vivere è essere un altro. Non è possibile neppure sentire se oggi si sente come si è sentito ieri: sentire oggi la stessa cosa di ieri non è sentire: è ricordare oggi quello che si è sentito ieri, essere oggi il cadavere vivo di quello che ieri è stata la vita perduta. Cancellare tutto del quadro da un giorno all’altro, essere nuovi ad ogni nuova alba, in una perpetua rinnovata verginità dell’emozione: questo, e solo questo, vale la pena di essere o di avere, per essere o avere quello che imperfettamente siamo(cit)”.

“La vita è una merdata”

Stamane incontro in ufficio una persona visibilmente amareggiata e sconfortata a causa di vicissitudini familiari. Un breve scambio di punti di vista sulla natura del dolore provato vedendo il proprio genitore che si consuma con l’incedere del tempo. Due le tesi, la mia e cioè che in realtà non proviamo dolore per l’altro per per la proiezione del nostro io nell’altro perchè non possiamo che far questo non conoscendo le reali sensazioni dell’altro. La sua e cioè che no, il dispiacere è vero e si riferisce al legame affettivo con il genitore. A concludere la discussione il giudizio gelido e tagliente come un alba invernale sferzata dal maestrale…”La vita è una merdata”.

Non siamo in grado di saperlo, perchè non conosciamo il cosiddetto senso della vita. Potremmo diventare palombari in fondo al mare o gabbiani che sfidano la dolce brezza marina…ma nulla ci impedisce di essere degli splendidi esempi di asini volanti.